Il Dolore

Tra ascolto e negazione

Cosa è il dolore?…

Se provo ad andare oltre la definizione specifica di una disciplina o campo di studi, al di là di tutto, il  dolore è un segnale che qualcosa mi fa male, da cui: è pericoloso per me.

Lo proviamo noi come gli animali.

Ha degli aspetti più fisici legati alla percezione sensoriale del dolore tramite i nocicettori, terminazioni nervose specializzate nel riconoscere stimoli in grado di produrre concretamente o potenzialmente danno tessutale (Wikipedia).

Il senso?…allontanati da lì! …pericolo per l’integrità!

Ha degli aspetti più emotivi e psicologici, ad esempio, nella perdita (lutto) di qualcuno o qualcosa (un’idea, una fase di vita, un ruolo, un luogo…). Questo è un altro tipo di dolore, può solo essere vissuto, accolto e accettato…inevitabile pegno alla Vita su questa Terra: ogni cosa ha un inizio e una fine, sono le regole del gioco. Provo dolore perché qualcosa o qualcuno che è stato importante per me non c’è più. Avrò tutta una serie di ricordi ed esperienze condivise che hanno contribuito a rendermi ciò che sono. Elaborare quel dolore comporta gratitudine per ciò che è stato, e creatività per trovare una nuova forma di sé, oltre la perdita.

Penso ad esempio ad una moglie che perde il marito. Potenzialmente, se riconosce di essere donna prima che moglie, potrebbe, superato il lutto, crearsi una nuova vita. Se rimane identificata nel ruolo matrimoniale, diviene vedova.

La non elaborazione di questo tipo di dolore, lo trasforma in sofferenza, ossia l’attaccamento a quel dolore passato, l’incapacità di lasciar andare quella persona o quella cosa o quel ruolo. Facendoci vivere nel passato anziché nel presente, ci priva dell’unico campo d’azione che abbiamo. Questo è il dramma.

Il dolore emotivo può avere altre sfumature, come nelle ferite dette appunto emotive, dove, se ascoltato, ci può dare la stessa indicazione di quello fisico: lì non stai bene, c’è qualcosa di non sano per te…Qui però interviene, in noi umani, la Mente con i suoi costrutti di personalità e ruoli.

Un animale, in natura, se non sta bene o qualcosa lo ferisce, o attacca o fugge, con l’opzione C del mi fingo morto (stile opossum) per il tempo necessario a salvare la pelle. Non resta e soffre, contrariamente al proprio istinto.

Noi umani siamo un po’ più complicati, come se in noi ci fossero più parti che litigano: l’istinto di sopravvivenza cerca scampo, la personalità e i ruoli tirano acqua ai propri mulini caricati dalla mente e dalla razionalità, il tutto condito da giudici interiori e coscienze. E proprio quando pensiamo di avere tutto sotto controllo, arriva il cuore, la nostra anima o cervello biologico, che vuole vivere e bene, e che ci vuole trascinare via da tutto quel marasma verso la nostra Verità. Ma la maggior parte di noi è addestrata, fin da quando siamo piccoli, a sabotare questi tentativi di auto-salvataggio. Un bel pasticcio! Il risultato è che il cervello invia impulsi specifici all’organismo per far fronte alla situazione, che però non migliora, non si sblocca o persiste in un modo non sano per noi. In base al movimento impedito, bloccato, interrotto, la parte sollecitata e non scaricata diventa suscettibile, da cui tutti i fenomeni psicosomatici. Interessante notare come, in questi casi, il dolore fisico emerga nel momento in cui avviene lo sblocco.

In ogni caso, il dolore arriva ad un culmine, poi passa.

Gli eventi traumatici lasciano ferite che non sempre possono essere rattoppate solo con ago e filo, non sempre ci sono le risorse per affrontare quella cosa. Così, antichi sistemi di protezione si attivano per salvaguardare l’integrità fisica, emotiva e psichica: impacchettano tutti i dati relativi all’evento, tutte le sensazioni, sigillano e inabissano in attesa di tempi migliori. In psicologia viene chiamata rimozione, ma credo che il termine sia forviante perché nulla sparisce, ma diventa inaccessibile alla coscienza. Non per questo non agisce, anzi…

Noi come gli animali: un cane bastonato abbasserà la testa, temendo l’ennesima botta, ogni volta che qualcuno alzerà la mano, anche se vorrà solo accarezzarlo…

Questo fanno i traumi: distorcono la realtà sulla base di un vissuto e ci fanno andare in reazione.

Non si può continuare a cacciare polvere sotto al tappeto, prima o poi c’è da rimboccarsi le maniche e fare pulizia. Con i tempi e le risorse giuste per noi.

Chiamiamo ombra, parte oscura, inconscio tutto quel materiale rimosso che a volte ribolle come magma dentro di noi. Non si può eliminare. Controproducente combattere, è come una guerra civile, inutile spreco di energie. Molto più utile imparare ad entrarci in contatto, e integrare: cela risorse inaspettate che ci appartengono, a volte divenute mostruose proprio perché rifiutate.

La nostra società sembra avere tanta paura del dolore, eppure è qualcosa che fa parte di questa vita, ha un suo senso che si è evoluto con la nostra specie e se affrontato in modo sensato, può contribuire molto alla nostra crescita, mostrandoci la strada da seguire per vivere e bene.